CRISPR punta dritto al cuore

Photo credit Singularity Hub

L’ultima sfida è proteggere il tessuto cardiaco dai danni causati dall’infarto. Ma sono centinaia le malattie devastanti che colpiscono il miocardio o altri muscoli e sono causate da mutazioni che potrebbero essere corrette con l’editing genetico. Dalla distrofia di Duchenne alle cardiomiopatie, alcuni risultati preliminari fanno ben sperare.   

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Distrofia di Duchenne: CRISPR affila le forbici

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© STEVE GRAEPEL (da “Infographic: Treating Duchenne Muscular Dystrophy with CRISPR“, The Scientist, settembre 2018)

Era il 2013 quando i ricercatori hanno affilato per la prima volta le forbici molecolari di CRISPR contro la distrofia di Duchenne, nelle cellule in vitro. Nel 2016 la correzione genetica ha dimostrato di funzionare anche nei topi distrofici. Poi la scorsa estate sono arrivati risultati incoraggianti dal primo esperimento con i cani. A che punto siamo adesso nella battaglia contro questa gravissima miopatia che affligge 300.000 ragazzi nel mondo? Cosa aspettiamo ancora, prima di provare a editare le mutazioni a carico del gene della distrofina direttamente nei pazienti? Continua a leggere

CRISPR dà un taglio alla distrofia di Duchenne. Dopo i cani l’uomo?

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Credit: Royal Veterinary College, University of London

Non esistono ancora cure risolutive per questa malattia genetica fatale, che colpisce un bambino maschio su cinquemila. Perciò la distrofia muscolare di Duchenne è uno dei principali banchi di prova per le terapie geniche dell’era CRISPR. L’obiettivo è utilizzare la tecnica di editing genomico per correggere la mutazione che compromette la produzione della distrofina, una proteina fondamentale per la struttura e la funzione dei muscoli, cuore compreso. I ricercatori avevano già usato le forbici molecolari di CRISPR nelle cellule umane e nel topo per sistemare il difetto genetico responsabile di questo processo degenerativo. Ma ora hanno compiuto un altro importante passo verso la sperimentazione sull’uomo: hanno interrotto la progressione della malattia in un modello animale più realistico, il cane. La ricerca è stata condotta dal gruppo di Eric N. Olson dell’UT Southwestern Medical Center di Dallas e pubblicata il 30 agosto su Science. Continua a leggere