
Era stato il primo paziente a sottoporsi a una terapia CRISPR per la distrofia muscolare. Il primo a ricevere un trattamento CRISPR pensato unicamente per lui. E sempre il primo a sperimentare un approccio CRISPR che non mirasse a cambiare una sequenza genica ma soltanto il suo livello di attivazione (editing epigenetico). Sei mesi dopo la morte di Terry Horgan, il fratello Richard ha diffuso le prime informazioni sulle cause del decesso.
In attesa della pubblicazione prevista nel giro di qualche settimana su medRxiv, le anticipazioni confermano le ipotesi fatte a caldo dagli specialisti: Terry ha avuto una reazione avversa ai vettori virali usati per veicolare la terapia nelle cellule. Un rischio ben noto che può verificarsi quando i virus adenoassociati vengono usati ad alte dosi nella terapia genica, indipendentemente da quale tecnica si sceglie per intervenire sul DNA.
Altri elementi di rischio, anch’essi già noti, erano l’età di Terry (che con i suoi 27 anni era più vecchio della maggioranza dei partecipanti alle sperimentazioni per la distrofia muscolare) e lo stato avanzato della sua malattia. La correzione epigenetica apportata per risvegliare una copia dormiente del gene della distrofina, dunque, non sarebbe tra le cause della morte. La colpa, insomma, non è di CRISPR.
Il fratello Richard (che aveva sperato di salvarlo fondando un’organizzazione senza scopo di lucro con la missione di sviluppare la terapia su misura) ha ricordato che Terry sapeva di avere poche speranze. Voleva provarci comunque, anche per contribuire all’avanzamento della scienza, e questo continuerà a essere l’obiettivo della no-profit a lui dedicata, la Cure Rare Disease.
Fyodor Urnov (Berkeley/Innovative Genomics Institute) è stato uno dei primi specialisti a commentare le anticipazioni: “L’unica via per migliorare le terapie genomiche è imparare dai fallimenti tanto quanto dai successi, anche quando un paziente di un trial muore tragicamente. Onoriamo la sua memoria imparando tutto ciò che possiamo”.