
L’ultima sfida è proteggere il tessuto cardiaco dai danni causati dall’infarto. Ma sono centinaia le malattie devastanti che colpiscono il miocardio o altri muscoli e sono causate da mutazioni che potrebbero essere corrette con l’editing genetico. Dalla distrofia di Duchenne alle cardiomiopatie, alcuni risultati preliminari fanno ben sperare.
Nel corso degli anni il laboratorio di Eric N. Olson ha contribuito a svelare molti dei meccanismi molecolari responsabili dello sviluppo e delle patologie di cuore e muscoli. Da quando è arrivata la tecnica CRISPR, lo scienziato dell’University of Texas Southwestern Medical Center se ne è servito per ricreare nei topi le mutazioni patogene umane e quindi per cercare di correggere questi difetti genetici nei modelli animali. Sull’ultimo numero di Science, però, viene delineata una strategia differente: anziché riparare una mutazione dannosa, Olson e colleghi hanno operato per abbassare il volume di un segnale patologico, modulando l’attività di una proteina chiave per la funzione cardiaca.
I ricercatori hanno scelto come bersaglio l’enzima CAMKII delta, la cui iperattivazione può causare danno da riperfusione, arresto cardiaco, ipertrofia e aritmie. L’eccesso di attività di questa proteina è innescato dall’ossidazione in due punti chiave della sua porzione regolatoria, perciò per ridurre questo rischio i ricercatori si sono limitati a cambiare due sole lettere nel DNA che la codifica. Ogni cambiamento puntiforme sul DNA si è tradotto nella sostituzione di un aminoacido nei due punti desiderati della CaMKIIδ (la valina ha preso il posto della metionina).
Questo intervento minimo e mirato è stato reso possibile dall’impiego di un correttore di basi, una variante di CRISPR inventata dal gruppo di David Liu al Broad Institute. Poiché consente di riscrivere le lettere del DNA senza recidere entrambi i filamenti della doppia elica, questo approccio detto base editing è considerato più sicuro oltre che più preciso. Per trasportare l’occorrente nelle cellule sono stati usati dei virus adeno-associati che sono considerati innocui e sono già autorizzati per la terapia genica. Il risultato, molto incoraggiante, è che i topi così trattati si sono ripresi dall’infarto molto meglio del gruppo di animali di controllo.
Gli autori ci tengono a sottolineare che questa strategia cardioprotettiva dovrà essere affinata, messa alla prova su altri modelli animali e valutata sul lungo periodo prima di passare ai test sull’uomo. È lecito sperare, comunque, che in un futuro ancora distante potrà aiutare milioni di pazienti in modo permanente, con un unico trattamento da effettuare in contemporanea con le cure standard somministrate subito dopo l’attacco cardiaco.
Una delle prime sperimentazioni cliniche con un correttore di basi autorizzate nel mondo, avviata la scorsa estate da Verve Therapeutics, mira a salvaguardare le arterie mimando una mutazione naturale favorevole per il metabolismo del colesterolo. Altre idee sono ancora allo stadio dei test preclinici. Recentemente il gruppo di Olson, in particolare, ha usato il base editing e un’altra variante di CRISPR ancora più sofisticata (prime editing) per correggere nel topo una mutazione che causa la cardiopatia dilatativa familiare. Le classiche forbici molecolari CRISPR invece sono servite per inattivare alcuni geni sospettati di svolgere un ruolo nelle malattie cardiache e dimostrarne la funzione.
Tutti e tre gli approcci basati su CRISPR vengono presi in considerazione anche per la distrofia muscolare di Duchenne, che comporta una degenerazione dei muscoli scheletrici oltre che del cuore. Questa malattia può essere causata da migliaia di mutazioni differenti a carico del gene più lungo del corpo umano, quello della distrofina, una proteina che agisce come ammortizzatore e dunque svolge un ruolo vitale per il tessuto muscolare.
L’eterogeneità dei possibili difetti genetici, insieme alla grande estensione dei muscoli che rappresentano il 40% del peso corporeo, rappresenta una sfida per la terapia genica. Ma gli studi eseguiti da Olson in topi e cani fanno sperare che l’80% delle mutazioni possano essere corrette in modo tale da ridurre drasticamente i sintomi, riconducendo la Duchenne a una forma più lieve (distrofia di Becker).
Purtroppo non potrà avvalersi di questi progressi Terry Horgan, l’unico paziente affetto da Duchenne per cui l’ente americano competente (Fda) aveva autorizzato la sperimentazione di un diverso trattamento di editing su misura. Il ragazzo è morto lo scorso novembre e le cause del decesso non sono ancora state chiarite dalla società biotech noprofit Cure Rare Disease, che era stata creata dal fratello proprio per cercare di salvarlo.
Il gene della distrofina si trova sul cromosoma X, di cui gli uomini hanno una sola copia, perciò colpisce i bambini maschi che ereditano la variante difettosa da madri apparentemente sane. In assenza di una cura questi pazienti perdono progressivamente la capacità di muoversi e sono destinati a morte prematura. Le donne portatrici, invece, conducono una vita normale fino ai 40-50 anni, quando manifestano problemi di tipo cardiomiopatico. La speranza è che un giorno l’editing possa aiutare anche loro.