Il genoma compie 20 anni (e il meglio deve ancora arrivare)

Science e Nature del 16/15 febbraio 2001

Il titolo è lo stesso – “The human genome” – e i numeri delle due riviste sono entrambi da collezione. Nature sfoggia in copertina il fotomosaico di una doppia elica, costruito assemblando tante minuscole foto di donne e di uomini. Come a dire: il DNA siamo noi ed è di tutti. La cover scelta da Science è più patinata, con i volti di sei persone diverse per etnia, sesso ed età, disposti in modo da alludere vagamente ad un intreccio. Sullo sfondo della mia copia spiccano pochi segni tracciati a pennarello. Si tratta dell’autografo di Craig Venter, lo scienziato che nel 1998 con la sua company Celera Genomics ha osato sfidare il consorzio internazionale dello Human Genome Project, costringendolo ad accelerare il passo. Purtroppo non ho la firma di Francis Collins, che nel 1993 ha preso il posto di James Watson a capo dello sforzo pubblico e ha portato a termine l’impresa. È lui l’altro protagonista della gara che sul finire degli anni ’90 ha appassionato scienziati e osservatori, per poi concludersi diplomaticamente in un pari e patta. (Continua su Le Scienze)

L’India non è solo Vandana Shiva. Ascoltiamo Sanjaya Rajaram

Sanjaya_Rajaram_WFPNon scrive pamphlet con facili ricette per un mondo migliore. Ha passato più tempo nei campi che a sedurre platee. Ma che siano in pochi a conoscere Sanjaya Rajaram – e in tanti Vandana Shiva – è il sintomo di una malattia culturale. Questo agronomo indiano, vincitore del World Food Prize 2014, ha raccolto il testimone di Norman Borlaug, Nobel per la pace e padre della Rivoluzione verde che, nella seconda metà del secolo scorso, ha raddoppiato la produzione di cereali in buona parte del globo, grazie a sementi migliori, irrigazione, fertilizzanti e pesticidi. Rajaram ha sviluppato 500 nuove varietà di grano coltivate in 51 Paesi. E’ venuto in Italia per il forum mondiale per la ricerca e l’innovazione promosso dalla regione Emilia Romagna.

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