
Con qualche giorno di ritardo segnalo l’uscita del nuovo, atteso rapporto sull’editing germinale. Anzi no, sull’editing ereditabile (in coda al post spiego il perché di questo cambiamento lessicale). In breve, il rapporto si concentra sugli aspetti tecnici dell’editing effettuato ai primi stadi embrionali (e in futuro probabilmente anche nelle cellule sessuali che andranno a formare l’embrione), senza soffermarsi sulle questioni bioetiche e sociali.
La strada che traccia è molto stretta: né le tecniche per creare mutazioni desiderate, né i metodi per identificare le mutazioni indesiderate sono abbastanza maturi per effettuare questo tipo di interventi sull’uomo. Solo pochissime malattie (monogeniche e molto gravi) possono essere prese in considerazione e solo nei casi in cui altri metodi convenzionali (la diagnosi pregenetica preimpianto per selezionare gli embrioni sani tra quelli prodotti da una coppia con la fecondazione assistita) non siano sufficienti per dare un figlio biologico sano ai portatori di quei difetti genetici.
Insomma per il russo Debris Rebrikov, che vorrebbe usare l’editing per dare figli con un perfetto udito a genitori portatori di una mutazione che causa la sordità, è un no senza appello. In pratica, il campo di applicazione dell’editing nella riproduzione umana viene (a mio parere giustamente) circoscritto così tanto che, come ha commentato Fyodor Urnov su Science, l’editing ereditabile è una soluzione alla ricerca di un problema.
Ma perché la commissione che fa capo alle accademie scientifiche di Usa e UK che firma il rapporto ha nel nome l’espressione “editing germinale” e invece il rapporto ha nel titolo la dicitura “editing ereditabile”? In pratica per distinguere gli interventi effettuati sugli embrioni umani a scopo di ricerca dagli stessi interventi effettuati sugli embrioni umani a scopo riproduttivo. I primi sono interventi di editing germinale ma non verranno ereditati da nessuno perché questi embrioni non sono destinati a essere trasferiti in utero, mentre i secondi sono ereditabili dalla progenie dell’individuo così concepito. Nella scienza cambiare le parole che si usano è un modo per evitare fraintendimenti e a volte serve a spostare l’enfasi da un punto di controversia. Secondo questa filosofia il punto chiave non è più se sia lecito o meno modificare geneticamente gli embrioni umani, ma se sia accettabile o meno impiantarli. E ad ora la risposta è un chiaro no.