La terapia genica incontra CRISPR

gene therapyL’idea di base è semplice e ambiziosa: curare un numero crescente di malattie correggendo i difetti genetici che le causano. Dopo anni di tentativi, aggiustamenti, ripartenze, nel campo della terapia genica si respira decisamente aria di ottimismo. L’istituto dedicato del San Raffaele-Telethon ha già trattato con questo approccio ben 58 pazienti, tra immunodeficienza ADA-SCID, leucodistrofia, sindrome di Wiskott-Aldrich e beta talassemia. Allargando lo sguardo al mondo intero il conteggio si avvicina a quota 300. Mentre all’orizzonte si intravedono le nuove potenzialità offerte da CRISPR, la tecnologia emergente per l’editing genomico. Ne abbiamo parlato con Luigi Naldini, che dirige l’Istituto per la terapia genica di Telethon e San Raffaele di Milano ed è l’unico italiano interpellato dall’Accademia americana delle scienze per la stesura dell’ultimo rapporto dedicato all’editing del genoma umano.   

Telethon_LuigiNaldiniQual è lo stato dell’arte della terapia genica convenzionale?

Il bilancio è positivo per i trattamenti ex vivo, quelli in cui le cellule sono prelevate dal paziente, manipolate e infine reintrodotte. Ma ci sono stati importanti progressi anche per i trattamenti in vivo, eseguiti direttamente  nell’organismo. La seconda generazione di vettori virali (lentivirus e virus adeno-associati) si è dimostrata più sicura ed efficiente per il trasferimento genico e sta dando buoni risultati.

Questo approccio è destinato a restare confinato alle malattie rare?

I vettori lentivirali sono già utilizzati in vari studi clinici per ri-direzionare le cellule immunitarie contro i tumori. Noi stiamo prendendo di mira anche malattie genetiche più diffuse, come emofilia e talassemia, che suscitano maggiore interesse anche da parte dell’industria. Il trattamento Strimvelis, già autorizzato in Europa per correggere con la terapia genica una patologia che compromette il sistema immunitario (ADA-SCID), viene somministrato a una decina di soggetti all’anno. In confronto una terapia genica per la talassemia potrebbe interessare decine di migliaia di persone.

Intanto è arrivata la possibilità di correggere il DNA con cambiamenti mirati lettera per lettera. Cosa cambia per la terapia genica nell’era dell’editing?

La velocità della tecnica CRISPR paga più per la ricerca di base che per lo sviluppo clinico, ma si tratta di una piattaforma in continua evoluzione, perciò è probabile che i vantaggi diventeranno più consistenti anche sul piano dell’efficienza. Intanto prosegue il lavoro con le tecnologie di editing sviluppate prima di CRISPR, ovvero Zinc Finger Nucleasi e Talen. La prima somministrazione di cellule sottoposte a editing genetico ha riguardato una terapia che viene detta “adottiva”, con linfociti provenienti da donatori. L’editing permette di rendere le cellule immunitarie ri-direzionate contro i tumori più aggressive e utilizzabili anche se provengono da donatori terzi. La bambina che è stata trattata non aveva abbastanza cellule sane da utilizzare per generare cellule anti-tumorali, per questo è stata adottata questa strategia. È da notare che le prime prove di utilizzo dell’editing genetico per meglio ri-direzionare le cellule immunitarie contro i tumori erano state realizzate dal nostro istituto in collaborazione con il gruppo di Chiara Bonini e Sangamo Biosciences. Non bisogna dimenticare nemmeno la sperimentazione di Sangamo per bloccare l’accesso del virus Hiv alle cellule immunitarie.

Quali sono i pregi dell’editing?

Rispetto alla terapia genica classica, l’editing consente di fare più cose. Può servire a controllare più finemente l’espressione del gene corretto, a distruggere i geni malfunzionanti, e a convertire direttamente il gene difettoso in gene funzionante.

Cosa offre in particolare CRISPR?

Si può dire che CRISPR abbia democratizzato l’editing, perché è più facile da usare rispetto ai sistemi prima disponibili, e questo ha rivoluzionato la ricerca. Inoltre offrirà la possibilità di intervenire contemporaneamente su due o tre bersagli, modificando più geni. Ad esempio potremo introdurre nelle cellule immunitarie una nuova specificità contro il tumore, e al tempo stesso inattivare le sequenze originali che potrebbero essere d’intralcio, e anche eliminare alcuni freni, cosiddetti checkpoint che controllano l’attività delle cellule T.

C’è qualche ostacolo da superare?

Come per i trattamenti classici, bisogna pur sempre raggiungere i siti da trattare. Con le cellule del sangue è facile, lo è  meno con il cervello o con un muscolo, ad esempio. Poi bisogna valutare la tossicità del trattamento a la sua immunogenicità. Gli enzimi usati per tagliare il DNA e modificarlo sono derivati da batteri, perciò il sistema immunitario potrebbe cercare di eliminare le cellule trattate. Insomma bisogna riuscire a somministrare il trattamento in modo efficiente, transiente e nascosto al sistema immunitario.

Come usate l’editing al San Raffaele-Telethon?

Siamo piuttosto avanti con un progetto basato sulle Zinc Finger Nucleasi, che potrebbe passare presto alla sperimentazione clinica in un tipo di immunodeficienza. Abbiamo anche avviato una collaborazione con Editas, per contrastare altre immunodeficienze con l’aiuto di cellule staminali ematopoietiche trattate con CRISPR. Siamo in fase preclinica, ci vorranno almeno un paio d’anni per passare all’uomo.

Il quadro normativo in vigore per la terapia genica classica è sufficiente?

Ritengo di sì, condivido le conclusioni del rapporto dell’Accademia americana delle scienze a cui ho contribuito. Si può far rientrare l’editing delle cellule somatiche nel sistema regolatorio già esistente che è ben rodato.

L’editing della linea germinale è più controverso, perché le modifiche genetiche sarebbero ereditate anche dai discendenti degli individui trattati. Cosa ne pensa?

Le condizioni per cui potrebbe essere utile farlo sono poche, ma se anche si potessero aiutare solo pochi individui, non si dovrebbe chiudere la porta senza valide ragioni. Se fossimo ragionevolmente sicuri che il procedimento è sicuro e funziona bene, ci sarebbero anche dei vantaggi etici nella prevenzione della trasmissione di malattie genetiche. Si parla sempre dell’editing degli embrioni ma è improbabile che riusciremo a effettuarlo in modo abbastanza efficiente. Credo sia più realistico arrivare un giorno a modificare i precursori delle cellule germinali. Gli spermatogoni, in particolare, potrebbero essere corretti in vitro e poi trapiantati nuovamente nei testicoli. Per le cellule uovo si può immaginare di correggere delle cellule staminali pluripotenti e di usarle per generare ovociti in vitro. A quel punto il dilemma di dire sì o no a modifiche ereditabili si porrebbe. Non per potenziare le caratteristiche positive sul piano dell’aspetto fisico o dell’intelligenza, non mi sembrano obiettivi perseguibili. Ma se si tratta di impedire la trasmissione dei geni responsabili di gravi malattie, considerare di farlo mi sembra lecito e realistico.

La terapia genica è costosa. Chi pagherà quando sarà in grado di trattare molte malattie?

Per i trattamenti in vivo una somministrazione endovena (nel caso dell’emofilia ad esempio) può mettere fine alla dipendenza dai trattamenti sostituivi. Credo che l’industrializzazione abbasserà notevolmente i costi, rendendo economicamente sostenibile questo approccio terapeutico. Per gli ex vivo la situazione è più complessa, perché bisogna modificare le cellule del singolo paziente, con costi alti e non molto comprimibili. Ma anche i trapianti e alcuni farmaci tumorali sono molto costosi. Se i risultati terapeutici ci sono, poi un sistema che  renda i trattamenti sostenibili si trova, ad esempio spalmando i costi su più anni, modificando i percorsi regolatori.

Sarà sempre un lusso che solo il mondo sviluppato può permettersi?

Non credo. Un talassemico o un emofiliaco dipendono dalla continua somministrazione di un trattamento (sangue o emoderivati, rispettivamente). Nei paesi sviluppati questi pazienti hanno una buona prospettiva di vita anche con la terapia sostitutiva, ma non è così nei paesi in via di sviluppo. La terapia genica, invece, potrebbe rivelarsi utile anche in questi ultimi, perché con una sola somministrazione si può risolvere il problema. L’emofilia potrebbe richiedere un solo trattamento ambulatoriale, la talassemia un autotrapianto, comunque ipotizzabile anche nei paesi in via di sviluppo. È un approccio economicamente sensato, soprattutto per gli emofiliaci, non è solo una terapia per i privilegiati dei paesi ricchi.

 

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