
Mentre l’Unione europea è ancora alle prese con la revisione del suo quadro regolatorio sugli OGM, la Gran Bretagna post-Brexit ha già deciso. Alla fine di marzo Londra ha approvato la legge che regolamenta in modo più leggero l’editing genetico in campo agrario, Genetic Technology (Precision Breeding) Act, con l’assenso di Re Carlo e per la gioia della comunità scientifica britannica. Per chi conosce la storia della controversia sulla modificazione genetica delle piante, si tratta di un evento epocale a forte valore simbolico.
La campagna contro gli OGM, infatti, era esplosa proprio al di là della Manica nella seconda metà degli anni ’90. Tutto era partito da un piccolo gruppo di contestatori della galassia anarco-ambientalista, come ha raccontato il pentito Mark Lynas nel suo libro Seeds of Science. Poi lo scandalo Frankenfood aveva conquistato i tabloid e gli altri mezzi di informazione, reclutando testimonial di eccezione come Paul McCartney e il Principe Carlo.
Sempre nel Regno Unito scoppiò il primo grande caso di scienza-spazzatura nel 1998, con le fantomatiche patate killer di Arpad Pusztai. Tant’è vero che negli Usa il St Louis Post-Dispatch titolava: «Cresce la paura. L’epicentro è in Inghilterra». Ben presto il movimento antibiotech diventò un fenomeno globale (in Italia il grande debutto coincise con le contestazioni degli autonomi alla Fiera biotech di Genova nel 2000). Tutto il resto è storia più o meno nota: i boicottaggi, la moratoria, il blocco delle sperimentazioni.
Gli strascichi di quegli anni si fanno ancora sentire, i genetisti vegetali italiani ed europei infatti continuano a lavorare al rallenty, in condizioni fortemente restrittive. Che la Gran Bretagna abbia deciso di voltare pagina con l’arrivo di nuove tecnologie più mirate come CRISPR è una gran bella notizia che aspettavamo di ricevere. Intanto perché i genetisti inglesi stanno portando avanti ricerche molto promettenti con applicazioni potenzialmente utili per la salute dei consumatori (qui e qui trovate un paio di esempi). E poi perché è lecito sperare che il paese possa fare ancora da trend-setter, questa volta in positivo, e che Bruxelles segua l’esempio, semplificando e razionalizzando le regole che oggi, paradossalmente, penalizzano le tecnologie più avanzate.