Stessa musica, cambia il volume. Così l’epi-editing regola i geni

Gli ultimi risultati del San Raffaele-Telethon dimostrano il grande potenziale degli editor che non modificano le sequenze del DNA ma soltanto l’intensità della loro espressione.

Immaginate le manopole di uno stereo, meglio ancora le leve sul pannello di controllo di un mixer audio. Per un’esecuzione ottimale della colonna sonora alcune frequenze devono sentirsi forte, altre piano. Il lavoro che fanno i tecnici del suono assomiglia a quello degli editor dell’epigenoma, che sciolgono o stringono le spire del DNA per rendere questo o quel tratto più o meno attivo, perché più o meno accessibile al macchinario di trascrizione cellulare. Questo approccio flessibile potrebbe superare alcuni dei limiti dell’editing genetico classico, riducendo i rischi di effetti indesiderati e allargando il ventaglio delle malattie trattabili. Una speranza in questo senso viene dagli esperimenti per il controllo del colesterolo del gruppo di Angelo Lombardo illustrati a Washington a maggio. [Il mio pezzo continua su Osservatorio Terapie Avanazate]

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