
Nel 2010, un paio di anni prima dell’invenzione di CRISPR, Doug Olson riceveva una terapia personalizzata sperimentale per la sua leucemia incurabile. Parliamo delle CAR-T, un acronimo che indica che nelle cellule T è stato inserito un recettore chimerico per l’antigene. Per farla breve, la terapia consiste nel somministrare linfociti T geneticamente modificati per dare meglio la caccia alle cellule tumorali.
Ci si aspettava che queste cellule funzionassero per un mese o due al massimo, una volta re-infuse nei pazienti. Invece oltre un decennio dopo, Carl June – pioniere di questo approccio e fiore all’occhiello della University of Pennsylvania a Philadelphia – ha annunciato che è andata molto meglio. Olson e un’altra persona, che è stata seguita altrettanto a lungo, risultano curati, una parola che gli oncologi non sono soliti usare con leggerezza.
Il paper che descrive questo successo è stato pubblicato pochi giorni fa su Nature suscitando un comprensibile entusiasmo. La sfida ora è estendere il più possibile il potenziale delle CAR-T, in modo da poterle utilizzare in un numero crescente di tumori, anche solidi.
In questo sforzo si sta rivelando utile CRISPR, come scrivevamo qualche tempo fa raccontando l’ultima frontiera esplorata da June per potenziare le capacità del sistema immunitario di combattere i tumori. L’idea è di prelevare le cellule T dal sangue dei pazienti, spegnere con l’aiuto di CRISPR i geni che frenano la risposta immunitaria, dotarle con l’aiuto di un vettore virale di un sistema di riconoscimento specifico per le cellule tumorali e infine re-infonderle nei pazienti stessi, cariche e pronte a combattere.
Per approfondire questo rivoluzionario filone di ricerca raccomandiamo l’ascolto della terza puntata del podcast di Osservatorio Terapie Avanzate, dedicata proprio alle CAR-T.