
H. Ma et al./Nature
Un anno fa il gruppo di Shoukhrat Mitalipov pubblicava su Nature il suo grande exploit sull’editing di embrioni umani. Lo scienziato della Oregon Health and Science University era riuscito a correggere il gene che causa una malattia cardiaca (MYBPC3) iniettando il sistema CRISPR negli ovociti appena fecondati, ma soprattutto riportava un’efficienza mai ottenuta prima dai gruppi rivali. Oggi sempre Nature fa il punto su quei risultati, pubblicando due analisi critiche e un aggiornamento dello stesso Mitalipov che difende i propri dati e rilancia. Il caso, insomma, è ancora aperto e il dibattito è destinato a continuare.
Il lavoro originale aveva suscitato clamore perché i nuovi stratagemmi sperimentali messi a punto nel laboratorio di Portland promettevano di far compiere al settore un balzo in avanti verso la pratica clinica. All’improvviso la possibilità che le coppie portatrici di gravi difetti genetici ricorressero all’editing degli embrioni come opzione riproduttiva non sembrava più così lontana. Gli esperimenti avevano sorpreso genetisti ed embriologi anche perché mettevano in luce un meccanismo di correzione imprevisto. Invece di usare lo stampo fornito dai ricercatori, CRISPR aveva corretto la mutazione presente negli spermatozoi copiando la versione sana contenuta negli ovociti, o almeno così sembrava. Un fenomeno piuttosto strano, considerando che i due genomi, materno e paterno, restano separati nell’ovocita appena fecondato. Ebbene la prima contestazione, firmata tra gli altri dal genetista di Harvard George Church e postata sul server di pubblicazione rapida bioRxiv, ora ha superato l’esame di Nature, che la pubblica insieme a un’altra analisi critica e alla controreplica dei diretti interessati. Mitalipov ha riesaminato i propri campioni, concludendo che il sorprendente meccanismo di riparazione risulta confermato. Lo scienziato si sente ulteriormente rassicurato dal fatto che nel frattempo un altro gruppo del Mit avrebbe documentato lo stesso fenomeno nel topo. Ma non tutti i suoi colleghi si ritengono pienamente soddisfatti delle nuove prove. “Hanno fatto un ottimo lavoro che sarebbe certamente sufficiente a convincere i critici nel caso di un comune lavoro di ricerca”, premette Alessandro Bertero che ha contribuito al primo esperimento di editing di embrioni umani svolto in Gran Bretagna. Ma conclusioni eccezionali come le loro devono essere supportate da evidenze eccezionali, e non siamo ancora a questo punto. Secondo il ricercatore italiano, attualmente in forze all’Università di Washington, le metodologie sperimentali utilizzate non sono adeguate per stabilire con assoluta certezza l’esito degli esperimenti. Qualche perplessità è alimentata anche dal fatto che Mitalipov non abbia trovato traccia di grandi riarrangiamenti come quelli descritti recentemente su Nature Biotechnology. Non è chiaro nemmeno quanto il fenomeno proposto da Mitalipov possa essere considerato di ordine generale, perché il suo gruppo ha analizzato un solo locus, lo stesso del paper originale. Vista la lunga attesa per questo report ci si poteva aspettare che avrebbero dimostrato un meccanismo simile anche in un altro punto del genoma. L’unico altro lavoro di editing di embrioni umani euploidi (ovvero senza anomalie cromosomiche) di cui si ha notizia è quello del gruppo di Kathy Niakan a cui ha contribuito Bertero. “Noi non abbiamo osservato questo tipo di ricombinazione, pur essendoci chiare differenze sperimentali che potrebbero giustificare la discrepanza”. Mitalipov propone che il taglio del DNA paterno da parte di CRISPR e la riparazione con il cromosoma omologo materno possano avvenire in momenti distanti e diversi durante ciclo cellulare, ma Bertero trova questa spiegazione difficile da credere considerando che le cellule embrionali non tollerano danni al DNA se questi non sono riparati prontamente. In definitiva, al di là del sano dibattito scientifico, le difficoltà tecniche per dimostrare chi ha ragione tra Mitalipov e i suoi critici suggeriscono che i tempi non sono ancora maturi per pensare di utilizzare questa tecnologia a fini terapeutici in campo riproduttivo. Prima di compiere un simile passo c’è ancora molto lavoro di ricerca di base da fare.