Il pretrattamento chemioterapico fa una vittima in un trial CRISPR

Busulfan in 3D

L’incidente avvenuto nel corso di una sperimentazione con base editing per l’anemia falciforme ricorda l’urgenza di superare l’impiego preliminare del busulfan

I pazienti sperimentali si trovano spesso in una condizione paradossale: devono essere abbastanza malati da essere ammessi al trial clinico e abbastanza sani da sopportare gli effetti collaterali. Devono anche avere l’audacia di sottoporre il proprio corpo a protocolli la cui sicurezza ed efficacia è da dimostrare. Per questo molti li definiscono pionieri e persino guerrieri. L’identità del coraggioso paziente che sperava di curarsi dall’anemia falciforme assumendo il BEAM-101 ed è morto a quattro mesi dall’intervento è ancora sconosciuta. Però tutto lascia credere che a ucciderlo non sia stata qualche insidia celata nelle sue nuove cellule geneticamente editate, ma il vecchio e ben noto trattamento usato per fare loro spazio nel midollo.

Casgevy, la prima terapia CRISPR autorizzata per la commercializzazione, si basa sul modello classico di CRSPR. Le forbici molecolari dell’enzima Cas9 sono programmate per recidere il gene bersaglio, che blocca la produzione dell’emoglobina fetale. Riattivandola, diventa possibile sopperire alle carenze dell’emoglobina adulta difettosa. In pratica è come se avendo una ruota bucata (il gene adulto malfunzionante) si utilizzasse come ruota di scorta il gene fetale, che di solito si spegne durante la prima infanzia ma che CRISPR è in grado di riattivare. BEAM-101 ambisce a raggiungere lo stesso risultato con minori rischi di mutazioni indesiderate, perché usa un correttore di basi per accendere il gene fetale senza troncare di netto la doppia elica.

In entrambi i casi l’intervento genetico avviene nelle cellule staminali del sangue del paziente, che vengono prelevate, modificate e reinfuse. Prima di reintrodurle, comunque, occorre eliminare le cellule difettose dal midollo, utilizzando un pretrattamento chemioterapico. Questa operazione di “mieloablazione” è svolta da un farmaco noto sin dagli anni ’50 e usato, tra le altre cose, nei classici trapianti di midollo: il busulfan. Essendo una chemioterapia, ha il difetto di essere tossica – con effetti collaterali che vanno dalla perdita di capelli alla febbre alle lesioni nella bocca – e in rari casi fatale. Nel tragico caso della sperimentazione di Beam Theraputics la morte è stata causata da una crisi respiratoria, e un incidente simile si era verificato anche nel 2022, durante il trial che ha portato all’autorizzazione al commercio del Casgevy.

La drammatica notizia del recente decesso è stata comunicata dalla Beam Therapeutics insieme agli incoraggianti dati di efficacia relativi agli altri pazienti trattati con BEAM-101. In quattro soggetti, che sono stati seguiti per almeno un mese, le cellule editate sembrano aver attecchito bene dopo la reinfusione e avrebbero fornito una buona produzione di emoglobina fetale. Per i dettagli bisognerà aspettare il meeting annuale della American Society of Hematology che si terrà a dicembre a San Diego, in California. Ma secondo quanto dichiarato finora anche il sangue del paziente che non ce l’ha fatta aveva parametri confortanti, segno che la correzione genetica avrebbe raggiunto lo scopo, almeno dal punto divista tecnico. La tempistica del decesso e i dati clinici raccolti suggeriscono che il problema non sia il protocollo, tanto è vero che la Food and Drug Administration ha dato il suo assenso al proseguimento della sperimentazione senza richiedere modifiche.

Al meeting di dicembre dovrebbero essere comunicati anche i dati relativi alla fase preclinica di un’altra sperimentazione di Beam Therapeutics, che utilizza lo stesso tipo di editing ma evita il busulfan. L’approccio ESCAPE prevede l’impiego di anticorpi monoclonali per eliminare le cellule difettose e fare spazio nel midollo alle cellule modificate. Mentre le prime vengono colpite, le seconde vengono risparmiate, perché schermate grazie a un altro intervento puntiforme di editing. I primi esperimenti fanno ben sperare, perché nelle scimmie l’approccio ESCAPE è risultato selettivo e ben tollerato. Se in futuro arrivasse la conferma anche dalla sperimentazione umana, vorrebbe dire che l’editing non ha più bisogno del passaggio chemioterapico preliminare. Per l’ematologia sarebbe una svolta, e anche per i pazienti. La via immunitaria, oltretutto, aiuterebbe a risolvere il dilemma dei pazienti più giovani che finora, proprio a causa del busulfan, dovevano scegliere se curare l’anemia falciforme compromettendo la propria fertilità futura o cercare di convivere con questa grave malattia per non rinunciare alla possibilità di diventare genitori una volta cresciuti.

Nel lungo termine un’altra soluzione potrebbe arrivare dagli interventi di editing eseguiti “in vivo”, anziché “ex vivo”. Quando si riuscirà a effettuare la correzione genetica all’interno del corpo del paziente, anziché sulle sue cellule prelevate e poi reinfuse, infatti, non ci sarà più bisogno della mieloablazione. Per farlo occorre riuscire a trasportare le forbici genetiche o il correttore di basi nel distretto corporeo desiderato, in modo che possano correggere le cellule giuste. Le particelle nanolipidiche sono ottime candidate per questo lavoro di trasporto e consegna, ma per ottimizzarne il funzionamento e definirne il profilo di sicurezza saranno necessarie ulteriori ricerche.

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