He Jiankui è pericoloso. Stiamo facendo il suo gioco?

Lo scienziato cinese che ha messo al mondo le prime bambine con il genoma editato è uscito dal carcere la scorsa primavera ed è in cerca di attenzione. Twitta foto sorridenti annunciando di aver aperto un laboratorio a Pechino. Afferma di volersi dedicare alle malattie rare. Va a caccia di fondi che speriamo nessuno gli voglia dare. Nel pessimo esperimento che lo ha reso famoso ha violato tanti di quei principi etici che l’unica cosa che ci si può augurare è che cambi lavoro. È opportuno che testate autorevoli e istituzioni prestigiose gli diano una ribalta per questo suo tentativo di tornare sulla scena?

A chi o a cosa serve invitarlo a incontri a porte chiuse, come ha tardivamente ammesso di aver fatto il cosiddetto Osservatorio globale sull’editing? Merita di partecipare al dibattito organizzato per il prossimo mese all’Università di Oxford? Davvero ci interessa sentirlo dialogare di scienza e giustizia sociale, come aveva anticipato l’antropologo Eben Kirksey a STAT? Ha ancora senso intervistarlo come ha da poco fatto il Guardian?

La risposta potrebbe essere sì, se He Jiankui rispondesse davvero alle domande che non hanno ancora avuto risposta. A cominciare dalla più importante di tutte: come stanno Lulu, Nana e la terza (ancor più misteriosa) bambina? E invece no, lo scienziato continua a glissare, non fornisce informazioni degne di essere riportate, si autoassolve (nell’intervista concessa al Guardian ha addirittura citato i Beatles: “Let it be”) e ritwitta al suo sparuto seguito di follower ogni comparsata internazionale.

Personalmente condivido i timori del pioniere dell’editing Fyodor Urnov e dello storico della scienza Matthew Cobb che hanno sollevato il problema su twitter. Chi porge il microfono senza condizioni a un interlocutore così compromesso rischia di fare involontariamente il suo gioco.

[l’immagine in apertura è di Mike McQuade ed è stata pubblicata da Nature]

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