Xenotrapianti: a che punto siamo?

La xeno-chirurga Jayme Locke e la xeno-immunologa Megan Sykes

David Bennett, il primo paziente trapiantato con un cuore di maiale geneticamente editato, è morto l’8 marzo scorso, due mesi dopo l’operazione, presumibilmente per colpa di un virus suino latente (un problema che non sembra difficile da risolvere con protocolli e screening più stringenti, come ho spiegato su Le Scienze tempo fa). Da allora sono proseguiti i trapianti sperimentali in pazienti in stato di morte cerebrale che avevano donato il proprio corpo alla ricerca. Dopo gli xenoreni con una singola modificazione genetica trapiantati alla fine del 2021, nell’estate del 2022 è stata la volta degli xeno-cuori con dieci modificazioni. Il bilancio è che il potenziale dell’approccio appare ancora alto, così come il morale degli specialisti.

Per saperne di più consigliamo di ascoltare questo podcast di Nature Biotechnology, con una doppia intervista alla chirurga dei trapianti Jayme Locke (Università dell’Alabama a Birmingham) e all’immunologa Megan Sykes (Columbia University). La prima domanda riguarda le motivazioni che le hanno portate a impegnarsi negli xenotrapianti (la carenza di organi, i problemi di equità che ne derivano, la volontà di operare i pazienti quando è meglio per loro anziché se e quando si rende disponibile un organo umano compatibile).

Tra i temi discussi ci sono i tipi di modificazione genetica che saranno necessari (dipenderà anche dall’organo), quali organi si prestano meglio agli xenotrapianti (il cuore, perché è “solo” una pompa), le ragioni per cui i donatori sono maiali e non scimmie (è più facile allevarli, si riproducono in fretta con cucciolate numerose, presentano meno rischi di trasmissione virale, molte persone hanno meno remore etiche a utilizzarli per scopi medici dal momento che vengono mangiati).

L’ultima domanda riguarda la questione più pressante per il futuro. Per Locke è capire se gli xenotrapianti potranno essere una terapia definitiva oppure serviranno da terapia-ponte (magari per concedere un periodo dialisi-free grazie a uno xenorene temporaneo, o per dare al paziente il tempo di attendere un organo umano compatibile). Ma per sapere quanto potrà essere longevo un organo di maiale trapiantato nell’uomo bisognerà provare e riprovare.

Sykes si dice ottimista sul carattere definitivo dell’approccio, nel lungo periodo. Le sue preoccupazioni nel breve periodo, invece, sono due. La prima è come soddisfare gli standard richiesti per ottenere il via libera ufficiale alle sperimentazioni cliniche [Ndr l’autorizzazione per Bennett è stata un unicum, per motivi compassionevoli]. La seconda è come tenere vivo l’interesse dell’industria per un settore che ha bisogno di fondi sia per la ricerca che per gli studi clinici, deve procedere cautamente e non promette guadagni nell’immediato.

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