
“Cucire. Cucinare. Impastare. Questi e altri verbi mutuati dall’esperienza storica delle donne nella gestione della casa vengono spesso applicati nel discorso pubblico ad azioni che niente hanno a che fare col cibo o il rammendo, ma che vi vengono ricondotte solo perché a compierle è una donna”, scrive Michela Murgia in un passaggio dedicato all’invenzione di CRISPR nel libro Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi 2001).
Secondo la scrittrice è per questo pregiudizio che “il lavoro di editing del codice genetico per il quale le scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica 2020 è stato definito dai giornali italiani come il taglia-e-cuci del DNA. Qualunque atto pubblico ben riuscito risulta in questo modo una proiezione in scala maggiore dell’unico lavoro che si pensa corrisponda all’essenza del femminile: la casalinga”.
Diciamo subito che in questo blog non compare mai l’espressione taglia-e-cuci, ma per un’altra ragione: la mia pignoleria. La versione classica di CRISPR, quella con la variante Cas9, taglia ma non cuce. A saldare la lesione del DNA sono i naturali meccanismi di riparazione cellulare. Ma soprattutto tagliare e cucire è qualcosa che mi ricorda l’ingegneria genetica più che l’editing genomico. CRISPR prende la mira, ambisce ad assomigliare più a un bisturi molecolare o, meglio ancora, a un laser, che a un paio di forbici.
Non si può negare che la similitudine con le forbici genetiche sia efficace, tanto che è stata usata anche dal comitato del Nobel nell’annuncio ufficiale. In effetti CRISPR viene spesso paragonata a un coltellino svizzero, con bussola per orientarsi, morsa per posizionarsi, forbici per recidere. Ma a pensarci bene questo ricorda più gli scout (boys and girls) che i/le sarti/e. Con il tempo, comunque, questo strumento multifunzione è stato aggiornato con accessori nuovi. Insomma, ormai la tecnologia CRISPR andrebbe declinata al plurale: le tecnologie CRISPR.
Nelle varianti di CRISPR note con il nome di correttori di basi e correttori ad innesco (base-editing e prime-editing) non si taglia più la doppia elica. Si graffia soltanto uno dei due filamenti, perché le forbici enzimatiche sono state parzialmente disattivate: non c’è più una nucleasi ma una nickasi. La variante base di CRISPR però, quella con la nucleasi Cas9, è ancora la più utilizzata. Dunque sì, CRISPR il più delle volte taglia ancora.
L’espressione inglese cut-and-paste probabilmente è meno sospettabile di sessismo, ma davvero in Italia si dice taglia-e-cuci perché CRISPR l’hanno inventata due donne? Pur riconoscendo che i giornali nostrani scivolano periodicamente sugli stereotipi di genere, io non lo credo. Chi si occupa di biologia molecolare sa che si dice taglia-e-cuci da prima dell’invenzione dell’editing, ad esempio per riferirsi al rimaneggiamento dell’RNA (il termine tecnico è splicing).
Dunque Murgia ha torto? Probabilmente sì, ma varrebbe lo stesso la pena di cogliere il suo invito a cercare nuove parole. Perché le tecnologie CRISPR ormai sono diventate un simbolo del crescente successo delle scienziate donne e la sensibilità per le sfumature controverse del linguaggio è aumentata. Potrà non piacere a tutti, ma per me l’evoluzione della lingua in direzione di una maggiore pluralità e inclusività è sempre un bene.
Effettivamente in biologia molecolare si è sempre parlato di “taglia-e-cuci” del DNA, fin dall’alba dell’ingegneria genetica, quando esistevano solo i clonaggi “vecchio stile” usando enzimi di restrizione e ligasi, che letteralmente tagliano e cuciono il DNA.
Io eviterei di vedere il sessismo dappertutto, anche dove non c’è.. concordo quindi con il succo del post.
Un saluto a questo blog che seguo sempre volentieri.
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