Dall’annuncio delle gemelline editate in Cina sono passate 3 settimane ed è tempo di bilanci. Sull’esperimento permangono i dubbi, una certezza comunque è lampante: per essere i primi esseri umani geneticamente modificati, le CRISPR babies non hanno sfondato sui media.
A caldo Lulu a Nana si sono guadagnate un servizio su quasi tutti i tg del 26 novembre e qualche richiamo in prima pagina nei quotidiani del 27. Per qualche giorno ci sono stati sporadici aggiornamenti, ma per lo più online, segno che le redazioni non hanno ritenuto la materia degna di spazio sul cartaceo. Quindi la notizia è rapidamente scomparsa dai radar. Probabilmente le CRISPR babies torneranno a fare notizia, se e quando i dati scientifici saranno finalmente pubblicati, se e quando sapremo che fine ha fatto He Jiankui, se e quando verranno diffuse delle immagini che ritraggono le bimbe. Ma finora non hanno attirato un decimo dell’interesse suscitato oltre vent’anni fa dalla prima pecora clonata.
Qualche numero: nelle due settimane dopo l’annuncio dell’avvenuta clonazione, Dolly ha meritato la bellezza di 95 articoli su Corriere della sera e Repubblica. In confronto i pezzi cartacei usciti su Lulu e Nana sulle due più importanti testate italiane si contano ancora sulle dita di una mano. Certo che nel frattempo il mondo dell’informazione è cambiato, si è frantumato, disintermediato, smaterializzato. Ma non basta questo a piegare le clamorose differenze tra la copertura mediatica riservata ai due casi.
Guardate il grafico pubblicato dal sociologo Federico Neresini sulla clonazione nei media italiani, o quello di Richard Holliman sul coverage nel Regno Unito. Dolly è inarrivabile, tiene a lungo la scena; probabilmente un caso più unico che raro nel giornalismo scientifico (ne ho parlato qualche tempo fa al festival di Foligno). Il suo successo, a cavallo tra scienza e sociologia, può essere attribuito a una serie di fattori.
C’erano le foto, che ora non ci sono, e senza foto una notizia non decolla. C’era un paper pubblicato, che ora non c’è, e se la news è dubitativa può essere archiviata con un boh. Metteteci pure che all’apparenza la clonazione è più facilmente divulgabile dell’editing genomico. Solo a dire CRISPR e CCR5 si inceppa la lingua.
Ma due bambine sono pur sempre due bambine, e una pecora è una pecora. I conti non tornano. Andiamo avanti con i raffronti, dunque. Il caso Dolly consentiva ai commentatori di pescare suggestioni dalla fantascienza, hanno spiegato a suo tempo i sociologi, ma questo varrebbe a maggior ragione per le CRISPR babies. Non sarà che ci siamo stufati di gridare a Gattaca, al Brave New World, alla minaccia eugenetica? Non è che magari l’idea di modificare il DNA umano scandalizza meno la gente comune dei bioeticisti?
Dolly era molto notiziabile anche perché si prestava a essere discussa da molte angolazioni, mettendo in scena il format della contrapposizione delle idee, hanno notato allora gli esperti. Ma questo varrebbe anche per Lulu e Nana, forse il format voce-della-scienza contro voce-della-Chiesa ha stufato anch’esso? Allora tutti scesero in campo a condannare gli eventi, da Clinton a Giovanni Paolo II. Se stavolta ci sono state dichiarazioni di Trump e papa Francesco mi sono sfuggite.
Qualcosa peserà anche il fatto che l’annuncio delle prime bambine editate sia arrivato dalla Cina, che viene percepita come un Far East dove può accadere di tutto. Anche cose peggiori di due neonate messe a rischio da un esperimento avventato. In fondo le due bimbe non hanno un volto e la Cina è lontana. Ma è anche un segno dei tempi (e forse non un buon segno) che per la sensibilità comune possano risultare più interessanti le gaffe cinesi di Dolce&Gabbana.