CRISPR è stata inventata dai batteri, prima che da Doudna e Charpentier. E se questo non bastasse, le due vincitrici del Nobel hanno dichiarato a più riprese che anche le prossime grandi scoperte arriveranno dai microbi. Eppure le cronache dell’era CRISPR continuano a privilegiare gli esperirmenti e le applicazioni i cui protagonisti sono esseri multicellulari. Per rimediare a questa colpevole disattenzione per le meraviglie del mondo microbico, ci siamo affidati al biotecnologo Stefano Bertacchi, autore del libro “Piccoli geni. Alla scoperta dei microrganismi”. Ecco il nostro colloquio su batteri e biotech.

Ci sono molti microbi celebri nella storia della scienza, il protagonista dell’esperimento chiave per l’invenzione di CRISPR, ad esempio, è Streptococcus pyogenes. Se potessi essere un microrganismo, Stefano, quale vorresti essere e perché?
I microrganismi famosi, nel bene e nel male, rappresentano una piccolissima percentuale della biodiversità microbica nota. A questa dobbiamo sommare tutta la biodiversità che ancora non conosciamo, soprattutto dalle profondità oceaniche.
Se potessi essere un microrganismo probabilmente sceglierei Aliivibrio fischeri, batterio simbionte del calamaro delle Hawaii, che permette a quest’ultimo di avere il dono dell’invisibilità dai predatori grazie alla bioluminescenza emessa. Un esempio perfetto di come gli animali siano fortemente dipendenti dal proprio microbiota.
Tanti anni fa Gould ha scritto che ci illudiamo di governare il mondo ma la Terra è dominata dai batteri. Cos’hanno i batteri più di noi?
Non posso che essere d’accordo: i batteri, che di fatto rappresentano la maggior parte della biodiversità microbica sul nostro pianeta, hanno dominato prima di noi, lo fanno ancora adesso e lo faranno anche quando non ci saremo più. Nel libro uso la metafora del gioco Risiko! spiegando come i microrganismi abbiano sviluppato nel tempo strategie incredibili di sopravvivenza.
Sono capaci di mangiare diverse tipologie di molecole organiche, per esempio specializzandosi su particolari zuccheri, di muoversi mediante l’uso di veri e propri propulsori o sfruttando il campo magnetico terrestre, e di farsi la guerra producendo tossine per eliminare gli avversari. A questo dobbiamo aggiungere gli straordinari adattamenti degli estremofili, che nel libro vengono affrontati come i dannati abitanti dei gironi dell’Inferno dantesco.
Paradossalmente la loro (apparente) semplicità, in termini cellulari, genetici e metabolici, permette una maggiore abilità di adattarsi, di cambiare e quindi di evolvere. Il tempo è loro alleato, sia per il lungo passato che hanno avuto a disposizine per provare e sbagliare soluzioni di sopravvivenza, sia per la loro velocità di duplicazione. Inoltre hanno la capacità di allearsi con altre specie, creando consorzi microbici in cui la collaborazione è fondamentale.
Una delle ultime scoperte microbiche che hanno acceso l’entusiasmo sono i borg, delle strane strutture di DNA trovate negli archeobatteri, chiamate così in omaggio a Star Trek. La cacciatrice di microbi Jill Banfield ha tuittato che non era così eccitata dai tempi delle sequenze CRISPR. Chissà quante altre sorprese riserva il mondo microbico ai biologi molecolari…
I microrganismi custodiscono incredibili strategie molecolari, che possiamo sfruttare in ambito biotecnologico. Basta pensare alla DNA polimerasi del batterio Thermus aquaticus, fondamentale per lo sviluppo della PCR usata, ad esempio, per il tampone molecolare della Covid-19. Il titolo del libro “Piccoli geni” vuole anche celebrare la genetica dei microrganismi, che da questo punto di vista spesso appaiono come orologi svizzeri, i cui meccanismi interni lavorano in maniera coordinata e precisa per permettere alle cellule di svolgere le proprie funzioni vitali.
I microrganismi possono anche essere usati come laboratori di biologia molecolare in miniatura: possiamo fornire al lievito Saccharomyces cerevisiae pezzi di DNA separati che vengono montati insieme all’interno della cellula grazie alla ricombinazione omologa. Questi esempi mostrano come le biotecnologie siano per forza di cose legate allo studio di fenomeni cellulari che poi possiamo applicare “fuori contesto”, come nel caso di CRISPR/Cas9.
Bisognerebbe provare a contare i Nobel che hanno a che fare con i microrganismi, credo che verrebbe fuori un bel quadro. Il mio preferito ovviamente è quello a Doudna e Charpentier. Qual è il tuo?
I microrganismi ci hanno fornito nel tempo tantissimi assist che poi hanno portato a vari Premi Nobel: ovviamente CRISPR/Cas9 (2020) e la DNA polimerasi di Thermus aquaticus (1993) sono tra i più affascinanti. Se dovessi selezionarne un altro sceglierei l’uso degli enzimi di restrizione da parte di Nathans e Arber (1978), che di fatto ha dato il via all’ingegneria genetica come la conosciamo oggi.
È soprattutto grazie a questa scoperta che, guardando nel freezer in laboratorio, trovo tantissimi tipi di enzimi di restrizione con cui tagliare in maniera specifica pezzi di DNA. Comunicare queste ricerche è fondamentale. È famosa la metafora dei servitori che proteggono il re (ovvero il DNA) dagli attacchi esterni, raccontata alla figlia piccola di Arber.
Il Joint Research Centre ha provato a censire anche le nuove tecnlogie genomiche applicate al mondo microbico, per conto della Commissione Europea. C’è parecchia riservatezza sulle applicazioni industriali, perciò non è stato possibile stilare una lista di prodotti e di progetti. Ma esiste almeno un batterio già in commercio (serve per fertilizzare il suolo) e la pipeline è variegata. Cosa ne pensi?
Sicuramente la Commissione Europea è incappata nel problema che hanno tutti quando si parla di microrganismi, ovvero l’enorme biodiversità che porta a raggruppare insieme organismi tra loro molto differenti, come batteri e lieviti.
Normalmente sono modificati mediante mutagenesi casuale, evoluzione indotta, ingegneria genetica/metabolica (ed eventualmente biologia sintetica), o una loro combinazione. La facilità di manipolazione di alcune specie che utilizziamo da tantissimo tempo (e che per questo motivo consideriamo sicure) ha portato a una grande varietà di combinazioni diverse, difficilmente catalogabili.
Che effetti ha avuto CRISPR in questo scenario?
Chiaramente CRISPR/Cas9 ha sparigliato le carte in tavola, anche se in modo diverso rispetto alle piante. Questa tecnica può essere usata per rendere più semplice la transgenesi, ottenendo organismi che poi sicuramente andranno a essere catalogati come OGM.
Allo stesso tempo possiamo fare anche editing genetico specifico, silenziando certi geni o inserendo mutazioni specifiche, che portano a organismi potenzialmente non classificabili come OGM (e qui dipende dalla valutazione delle agenzie competenti, come FDA o EFSA). Tuttavia, nonostante le straordinarie abilità dei microrganismi, limitandoci all’editing genetico possiamo fare poco, in quanto siamo confinati a ciò che quella specie sa fare.
Infatti nel rapporto del JRC vediamo come esempi lieviti editati per fare più bioetanolo, cosa che sanno già fare in partenza. Lo stesso vale per la la produzione di biodiesel nella microalga: accumula già i grassi necessari, ma possiamo indirizzarla verso le molecole più utili.
Il fatto che la lista dei microrganismi in questo report sia più corta di quella degli animali e delle piante indica che in questo ambito, in cui si svolge la mia ricerca, non fare transgenesi limita le potenzialità di CRISPR/Cas9. Questione di cui dovremmo ricordarci di più quando discutiamo sul dove mettere il confine legislativo tra OGM e non-OGM in relaziione all’editing genetico.
L’innovazione biotech in campo microbico è largamente invisibile ai consumatori. Vuoi citarmi un’applicazione in uso da tempo di cui siamo poco consapevoli? Cosa desta più stupore tra i lettori del tuo libro?
Sicuramente il fatto che enzimi derivanti da microrganismi GM vengano utilizzati in alcune formulazioni di detersivi stupisce molte persone, come anche l’uso di batteri per l’eliminazione della pirite nell’estrazione dell’oro nelle miniere. Un altro esempio che colpisce è la sintesi del farmaco antimicotico nistatina da parte di un batterio, utilizzato per la cura della candidosi, che purtroppo affligge molte persone.
Paradossalmente, desta stupore il fatto che il lievito madre è in realtà costituito da una grande quantità di batteri e una minoranza di lieviti che lavorano insieme. Quindi anche una applicazione biotecnologica così “semplice” in realtà nasconde una complessità microbica. Per questo motivo ho provato a celebrare il mondo microbico in questo libro, mostrando come la classica divisione “buoni contro cattivi” è assai riduttiva.