
La company israeliana CanBreed ha annunciato di essere pronta a editare la cannabis per facilitarne la coltivazione a scopo terapeutico. Il primo banco di prova sarà la produzione di varietà resistenti a malattie vegetali come l’oidio, poi CRISPR potrebbe essere impiegata per ottimizzare altri tratti di interesse agronomico. Il lavoro da fare è tanto perché, pur essendo al centro di un business multimiliardario, la cannabis può essere considerata una pianta negletta dal punto di vista della ricerca.
Per molto tempo ostacoli legali e pregiudizi hanno tenuto alla larga i genetisti, fino alla pubblicazione del primo genoma nel 2011. Il crescente interesse per il suo potenziale farmacologico (si veda il rapporto della National Academy of Sciences) e il via libera all’impiego ricreativo in molti stati Usa sbloccheranno la situazione?
Come spiega questo articolo di Science, ispirato a un numero speciale di Critical Reviews in Plant Sciences, esistono tante varietà di cannabis di cui si sa poco o nulla. In pratica i breeder interessati a migliorarne le caratteristiche, ad esempio per produrre fibre e biocarburanti, hanno a disposizione uno scrigno di biodiversità in cui cercare geni utili.
Se siete in vena di divagazioni culturali sul tema, sappiate che di cannabis ha scritto anche Michael Pollan (come raccontavo in questo vecchio pezzo per La Lettura/Corriere della sera). Il “filosofo del cibo” avanza un’ipotesi suggestiva sul perché l’evoluzione abbia premiato la produzione di sostanze psicoattive in una pianta. Forse il tetraidrocannabinolo aiuta a proteggersi dai danni delle radiazioni o dai parassiti. O forse, suggerisce Pollan, è servito alla cannabis come esca per attirare gli esseri umani e convincerli a coltivarla.
Per concludere, medicina delle meraviglie o erba del diavolo? Forse dovremmo uscire da questi schemi e iniziare a guardarla per quello che è: un’utile pianta.