La buona notizia è che in futuro potrebbero arrivare in tavola platani e banane ottenuti da progenitori ripuliti dai virus con l’editing genetico. Un gruppo keniota dell’International Institute of Tropical Agriculture ha annunciato i primi risultati su Communications Biology e l’inizio è incoraggiante. Soprattutto se si considera che questi frutti rappresentano un alimento base in tanti paesi, e che il patogeno in questione (banana streak virus) limita il pool per il miglioramento genetico.
Ma in giro per il mondo ci sono diversi altri progetti pensati per aiutare l’agricoltura dei paesi poveri. L’epicentro della storica Rivoluzione verde, il Cimmyt, è interessato a usare CRISPR per combattere la necrosi letale del mais nell’Africa orientale. Mentre il Donald Danforth ha preso di mira il brown streak virus che minaccia la produzione della cassava. Entrambi questi progetti nascono da collaborazioni no-profit con la multinazionale Corteva. Se poi allarghiamo lo sguardo alla zootecnia, c’è l’istituto che ha dato i natali a Dolly, il Roslin di Edimburgo, che collabora con diversi paesi africani allo scopo di ottenere bovini che siano produttivi anche nei climi tropicali.
“Editing a fin di bene”, titolava qualche tempo fa Foreign Policy ospitando un saggio di Bill Gates su quanto la tecnologia CRISPR potrebbe fare per lo sviluppo globale. La Fondazione a lui intitolata finanzia già alcune ambiziose ricerche, tra cui quella per ottenere il riso C4, con fotosintesi super-efficiente. Ma l’applicazione potenzialmente più rivoluzionaria sul piano sociale potrebbe essere un’altra: il riso a riproduzione asessuata, a cui lavora l’Università della California a Davis.