Non è pentito dell’esperimento, che nel giro di qualche mese potrebbe portare a nuove nascite. Ma è dispiaciuto che la notizia delle due gemelline con il DNA geneticamente modificato sia esplosa prima della pubblicazione dello studio, attualmente al vaglio di una rivista scientifica non meglio precisata. A dirlo è stato lo stesso He Jiankui, lo scienziato cinese che ha infranto l’ultimo tabù, intervenendo in modo ereditabile sul genoma umano. E questa volta non lo ha fatto con un video su YouTube ma parlando dal vivo davanti alla platea più difficile: gli scienziati e i bioeticisti riuniti ad Hong Kong per il Secondo Summit Internazionale sull’Editing del Genoma Umano.
Laureato in fisica in Cina, ha studiato biofisica alla Rice University in Texas, è stato postdoc a Stanford, prima di tornare in patria nel 2012, all’università di Shenzhen, con il programma per il rientro dei cervelli. JK, così lo chiamano i conoscenti americani, appare pacato e tutto sommato poco scosso dagli avvenimenti, considerando che la sua corsa in avanti rischia di danneggiare l’intero settore di ricerca e che le autorità cinesi devono ancora pronunciarsi sulla legittimità del suo operato.
Il suo intervento al Summit, programmato prima dello scoop della MIT Technology Review e dell’esclusiva affidata all’AP, è attesissimo e dura una ventina di minuti. Lo scienziato dapprima difende l’impostazione sperimentale, e in particolare la scelta di indurre la resistenza al virus Hiv inattivando il gene CCR5. Quindi illustra gli esperimenti preliminari su topi e scimmie. Spiega di aver confrontato il DNA degli embrioni geneticamente modificati con quello dei genitori, individuando una possibile mutazione fuori bersaglio che però non ha fatto cambiare idea né a lui né alla coppia sull’opportunità del trasferimento in utero.
Alla fine, durante il dibattito che segue, dà qualche numero, ma con il contagocce. Sarebbero una trentina gli embrioni editati. Un’altra gravidanza è in corso, in fase non avanzata. Le altre cinque coppie arruolate nella sperimentazione dovranno aspettare, perché il clamore di questi giorni ha imposto una pausa di riflessione. Le domande che gli rivolgono colleghi e giornalisti, comunque, anziché sgombrare il campo dalle perplessità finiscono con il rafforzarle.
Non convince la facilità con cui He liquida i timori su possibili effetti indesiderati dell’inattivazione del gene CCR5, che potrebbe avere ricadute sull’attività cognitiva oltre che sulla capacità del sistema immunitario di combattere altre infezioni come influenza e virus del Nilo occidentale. Fanno sollevare ben più di un sopracciglio le modalità con cui è stato chiesto e ottenuto il consenso informato degli aspiranti genitori, che hanno avuto un colloquio informale di due ore con un membro del gruppo di ricerca e un breve colloquio formale con lo stesso He, anziché con soggetti terzi specificamente addestrati. Per gli esperimenti lo scienziato ha attinto ai fondi dell’università, mentre delle spese mediche dei soggetti coinvolti si sta facendo carico in prima persona.
In definitiva i pericoli di un intervento genetico azzardato, progettato per prevenire un rischio teorico anziché per curare una malattia, e realizzato con una tecnica ancora immatura per l’uso su embrioni umani, appaiono di gran lunga superiori al beneficio atteso. Nella migliore delle ipotesi solo una delle due gemelle sarebbe resistente all’Hiv, perché nell’altra l’editing sarebbe avvenuto in modo parziale. Senza contare il fatto che per difendersi dal virus dell’Aids esistono approcci ben più semplici e convenzionali, dai preservativi ai farmaci antiretrovirali.
Il ricercatore cinese si fa forte del fatto che, in un recente sondaggio, la maggioranza dei suoi connazionali si è detta favorevole all’editing germinale per prevenire l’Aids. Forse è anche a causa del forte stigma sociale che il padre delle gemelle (sieropositivo come gli altri aspiranti papà reclutati nella sperimentazione) ha voluto regalare alle proprie figlie la più duratura delle protezioni. Chiedere lumi sui veri nomi dei soggetti coinvolti è inutile, in Cina è vietato rivelare l’identità dei pazienti sieropositivi, spiega He. Anche per le bimbe, Lulu e Nana, ha scelto nomi di fantasia. L’ultima domanda del dibattito arriva dai media: “L’avrebbe fatto lo stesso se fosse stato suo figlio?”. La platea rumoreggia, la risposta è positiva. “Nelle stesse condizioni, sarei stato il primo a provare”.
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Mi fanno suonare qualche campanello d’allarme i termini usati nei confronti di He (scienziato canaglia, esperimento mostruoso, detto da Savulescu(?)). Che cosa ha mai fatto? Senza contare che se quel che ha fatto in Cina (dove sembra che sia vietato) l’avesse fatto in Italia sarebbe stato perfettamente legale (art. 13, comma 2 legge 40).
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I toni di Savulescu non sono piaciuti nemmeno a me, ma non sono sicura che in Italia sarebbe legale ciò che ha fatto He, mi vengono in mente tre ragioni per dubitarne. Il rapporto rischi/benefici dell’intervento è molto sfavorevole e credo che nessun comitato etico avrebbe dato il via libera; la tentata correzione del gene Ccr5 non è terapeutica visto che le bimbe sono sieronegative; per proteggersi dall’Hiv esistono metodi alternativi. Non sei d’accordo Demetrio?
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Quanto all’Italia, mi riferivo solo all’aspetto legale, non ai vari aspetti bioetici (sono in buona parte d’accordo con te). Ma ho deciso di scrivere un articolo dal titolo “In difesa di He”, ricordando come precedente gli eventi connessi con la nascita di Louise Brown.
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