La prima volta di CRISPR in un’importante trasmissione culturale italiana (Quante storie, Rai 3, 23 marzo 2017) è stata caratterizzata da sincero interesse, voglia di capire e molte domande del classico repertorio relativo al biotech: dal peso degli interessi economici in gioco (ma se vogliamo i farmaci, l’industria farmaceutica dovrà pur farli), al rischio che l’editing genomico venga usato a scopi eugenetici (l’ombra lunga del nazismo continua a farci immaginare che i bambini vengano preferiti biondi).
Lo stralcio dal film fantascientifico Splice, proiettato in apertura, ha rappresentato due ricercatori combattuti tra la pulsione della scoperta e il timore di una violazione morale. La scenografia ha ripreso il meme della michelangiolesca creazione di Adamo e il dualismo tra usi benefici e malefici delle scoperte scientifiche (lampadina vs bomba atomica). L’attenzione si è concentrata tutta sulle possibili applicazioni al genoma umano. Prima le speranze per un rilancio della terapia genica, e per una presenza rilevante dell’Italia nella mappa geografica dell’incombente rivoluzione biotech. Poi un misto di curiosità e timori per la prospettiva dei primi bambini editati, che l’ospite (io) ha dato come possibile ma lontana nel tempo, e il conduttore (Corrado Augias) ha detto di considerare inevitabile. Delle applicazioni in agricoltura non si è parlato. La narrazione di CRISPR sulla televisione italiana muove i primi passi da qui.