La pubblicazione tedesca Greenpeace Magazin ha intervistato Urs Niggli, che dirige un importante istituto di ricerca sull’agricoltura organica (FiBL) e vede con favore l’editing del genoma. Le piante così modificate, secondo lui, non dovrebbero essere considerate OGM ma valutate caso per caso. Greenpeace Magazin/Hamburg ci ha gentilmente concesso l’autorizzazione per tradurre e pubblicare l’intervista firmata da Frauke Ladleif.
GREENPEACE MAGAZINE: Nuove tecniche stanno rivoluzionando la ricerca genetica: permettono modifiche estremamente precise del genoma che si avvicinano molto a quelle ottenute con i metodi convenzionali di incrocio e selezione. Questa cosiddetta chirurgia genetica trasforma il dibattito su rischi e vantaggi degli interventi sul patrimonio genetico. Il direttore del FiBL (Istituto di ricerca per l’agricoltura biologica), Urs Niggli, auspica un punto di vista differenziato su questo nuovo metodo. Signor Niggli, attualmente si sta discutendo su una nuova forma di “ingegneria genetica verde”, come è stata chiamata per esempio a un simposio collettivo tra il Consiglio etico tedesco, la Società della ricerca tedesca e l’Accademia nazionale Leopoldina. Il dibattito verte intorno al cosiddetto metodo CRISPR/Cas, con cui un enzima prende di mira un punto del patrimonio genetico e qui taglia il DNA. I meccanismi naturali della cellula quindi riparano automaticamente il filamento. Che cosa si potrebbe ottenere con questo processo?
Niggli: Questa tecnica è nota solo dal 2013. Già oggi però esistono nuove varietà di frumento, mais, miglio, riso e pomodori. E stanno per arrivarne altre. Il percorso dalla ricerca di base all’applicazione pratica quindi è straordinariamente breve. Negli USA e in Cina queste nuove varietà si stanno già avvicinando alla commercializzazione. Per gli agricoltori – anche quelli biologici – il nuovo metodo apre molte possibilità: si potrebbero selezionare piante in grado di adattarsi meglio a condizioni ambientali difficili, per esempio siccità, saturazione acquosa del terreno o salinizzazione. Si potrebbe migliorare la struttura delle radici sottili, in modo che possano ricavare dal terreno più sostanze nutritive come fosforo o azoto. E si potrebbe anche aumentare la tolleranza o la resistenza nei confronti di malattie e organismi nocivi, oltre alla conservabilità e alla qualità di prodotti alimentari e mangimi. I critici tendono a liquidare queste possibilità come promesse vuote. A me sembrano miglioramenti ecologici evidenti, in grado di ridurre i grandi problemi dell’agricoltura convenzionale.
Non vede dei rischi?
La scienza parte dal presupposto che le piccole modifiche eseguite con la tecnica CRISPR/Cas sui geni propri di una pianta, non distinguibili da una mutazione spontanea o naturale, non pongano rischi. La situazione cambia se questo metodo è usato per introdurre geni estranei o se determina l’eradicazione di intere popolazioni, come le zanzare che trasmettono la malaria. La valutazione del rischio quindi dovrebbe essere differenziata.
Attualmente in Europa è in corso un dibattito acceso sul fatto che il nuovo metodo di selezione costituisca ingegneria genetica oppure no, e quindi se debba essere soggetto alle relative norme. È necessario adeguare la legge?
Secondo la legge, una pianta è modificata geneticamente se le vengono aggiunte nuove proprietà che non si potrebbero ottenere con la selezione naturale. Con CRISPR/Cas però la situazione è diversa: si tratta di una nuova tecnica che può determinare nelle piante mutazioni mirate. È vero che così si modificano le proprietà di una pianta, ma non vengono introdotti nuovi geni come con l’ingegneria genetica “vecchia”. La manipolazione quindi è identica a un processo naturale. I detrattori dell’ingegneria genetica sostengono che, se una mutazione avviene tramite un processo tecnico, si tratta di ingegneria genetica e quindi deve ricadere nella relativa legge ed essere regolata rigorosamente. Gli scienziati invece fanno notare che già adesso, nella produzione di mutazioni, ci sono deroghe in alcuni casi non regolamentati dalla legge sull’ingegneria genetica, come per esempio l’esposizione a fonti radioattive o il trattamento chimico. La questione è se anche la CRISPR/Cas rientri fra queste eccezioni.
Lo sviluppo di piante con la tecnica CRISPR/Cas deve sottostare a norme rigorose? Cioè anche qui devono valere il principio di precauzione che vige in Europa e l’obbligo di autorizzazione e di etichettatura?
Sì, il principio di precauzione è importante, così come la trasparenza nei confronti dei consumatori. Bisogna però distinguere i singoli casi. Ci sono varietà sviluppate tramite CRISPR/Cas che non presentano problemi. E dovrebbero essere sottoposte a controlli meno complessi rispetto alle piante prodotte con interventi davvero profondi sul DNA; è ovvio però che dovrebbero a loro volta essere verificate seriamente e osservate nel lungo periodo, come richiede il principio di precauzione. Sono nettamente a favore della valutazione caso per caso e contro la demonizzazione totale della nuova ingegneria genetica.
Sembra che lei voglia polemizzare con le associazioni ambientaliste e per l’agricoltura biologica, che rifiutano del tutto questi interventi precisi sul DNA di una pianta. Come noto, l’agricoltura biologica proibisce gli interventi tecnici sul genoma, a meno che avvengano tramite un incrocio naturale.
Trovo straordinario questo orientamento del breeding perché la società ha bisogno di alternative, soprattutto quando è in gioco qualcosa di essenziale come le sementi. Anche se una pianta modificata geneticamente non si differenzia da una ottenuta con un incrocio tradizionale, i critici considerano gli effetti indesiderati o imprevisti un potenziale rischio, ma questi si possono presentare con qualsiasi metodo di incrocio e selezione. Inoltre c’è il timore fondato che l’agricoltura convenzionale con le super-piante stimoli un ulteriore impoverimento della biodiversità delle colture. Ma a preoccupare l’agricoltura biologica è soprattutto la possibile perdita di fiducia da parte dei consumatori: si potrebbero spaventare venendo a sapere che si usano metodi di ingegneria genetica. Io sono molto più aperto verso la tecnologia, ma prendo sul serio queste preoccupazioni. Anche io voglio che l’agricoltura convenzionale prenda misure serie per un’effettiva sostenibilità. Usciremo dalla crisi di fiducia solo se entrambe le parti si muoveranno.
Un anno fa, a causa della sua posizione, lei è stato attaccato duramente dall’associazione di agricoltori biologici “saat:gut”. In una lettera al Consiglio di fondazione del FiBL è stato accusato di danneggiare il settore bio. Da allora vi siete riappacificati? Le nostre posizioni sono tuttora molto diverse. Naturalmente anche io sostengo chi pratica il breeding biologico, appena posso. Il nostro istituto investe moltissimo denaro nella ricerca bio, perché è importante che si vedano le potenzialità di questa alternativa. Ma mi preoccupano i problemi ecologici degli agricoltori tedeschi, al 91 percento convenzionali. E quindi bisogna mettere in conto la possibilità di non essere sempre allineati.
(La foto di apertura è tratta da una pubblicazione del FiBL; traduzione di Lorenzo Lilli)