CRISPR verso Marte, gli esperimenti più arditi

I futuri avamposti extraterrestri dipenderanno in buona parte dall’utilizzo di organismi capaci di sopravvivere in condizioni estreme. Una fonte di ispirazione per raggiungere questo obiettivo sono i tardigradi, minuscoli invertebrati campioni di resistenza che potrebbero prestare i propri geni (e qualche super-potere) ad altre specie necessarie per sfamare e fornire sostanze utili ad astronauti e turisti spaziali.

L’European Space Agency, in particolare, finanzia l’esperimento Yeast TardigradeGene, che indaga il possibile ruolo di un enzima (ossidasi alternativa mitocondriale, AOX) importante per il funzionamento delle centrali energetiche delle cellule (i mitocondri). L’idea è di utilizzare l’editing genetico per equipaggiare un organismo modello con la variante dell’enzima originaria dei tardigradi. La scelta è caduta sul lievito Saccharomyces cerevisiae, un beniamino dei genetisti, assai utilizzato anche come biofabbrica per le applicazioni industriali.

In futuro un approccio del genere potrebbe essere applicato anche alle piante di interesse agroalimentare (se volete farvi un’idea generale delle sfide della futuribile agricoltura marziana, tra cui la rimozione delle sostanze tossiche presenti nel suolo del pianeta rosso, consigliamo questo approfondimento su MIT Technology Review). E non mancano i pensatori più spericolati, pronti a immaginare un futuro fantascientifico in cui gli esseri umani riusciranno a prosperare su Marte modificando il proprio stesso genoma (ne hanno discusso l’astronomo reale Lord Martin Rees e l’ingegnere aerospaziale Robert Zubrin in un evento della British Interplanetary Society).

Credit: Sebastian Kraves

L’era spaziale di CRISPR è cominciata nel maggio del 2019, con il primo esperimento di editing extraterrestre eseguito dall’astronauta della NASA Christina Koch (qui nella foto). Quanto ai tardigradi, CRISPR consente già di studiarli nei laboratori terrestri, accendendo e spegnendo i loro geni allo scopo di decifrarne le funzioni (si veda a questo proposito il paper dell’Università di Tokyo uscito su Plos Genetics nel giugno del 2024).

I ricercatori hanno utilizzato un approccio detto “CRISPR parentale diretto” (DIPA-CRISPR), in cui la correzione genetica viene trasmessa alla progenie senza che ci sia bisogno di accoppiamento. E’ bastato iniettare la soluzione con CRISPR negli animali poco prima che questi rilasciassero le uova non fecondate. La capacità di riprodursi in modo asessuato (per partenogenesi) fa sì che ogni gene possa essere presente in due copie identiche, facilitando ulteriormente la vita ai genetisti. Tra i molti geni interessanti ce n’è uno che permette allo zucchero trealosio di rendere gommoso l’interno acquoso delle cellule. Ai tardigradi questo trucco serve a sopravvivere all’essiccamento, ma chissà che non possa trovare applicazioni utili anche per gli esseri umani, magari per i trapianti di organi.

Con il corpo tondeggiante e segmentato, la testa schiacciata e le otto zampette, i tardigradi potrebbero sembrare bruttini, ma più cose scopriamo su di loro più ci appaiono come creature incredibilmente affascinanti, primordiali e fantascientifiche al tempo stesso. “Vivono praticamente ovunque, dalle cime delle montagne ai ghiacciai, agli oceani e ai laghi, sotto il tappeto di foglie delle foreste, lungo i tronchi e le pietre. Per vederli, raccogliete un po’ di licheni o di muschio e metteteli a bagno per una notte, poi spremeteli su un vetrino da microscopio ottico”, consiglia Ricki Lewis nel suo blog DNA Science.

Tornando alle questioni spaziali, è doveroso ricordare che questi invertebrati hanno già avuto l’onore di visitare l’International Space Station nel 2011. Poi nel 2019 una missione israeliana li ha portati sulla Luna, ma la sonda si è schiantata sulla superficie e appare improbabile che i suoi piccoli passeggeri siano sopravvissuti. I calcoli li ha fatti Alejandra Traspas, della Queen Mary University di Londra, grazie a un ingegnoso esperimento terrestre in cui i tardigradi sono stati messi “in sonno” per ragioni etiche prima di simulare condizioni simili a quelle dello schianto (il paper è uscito su Astrobiology).

Il loro nome significa “lenti camminatori” e hanno le dimensioni di un puntino, ma possiedono qualità a dir poco sorprendenti. Riescono a riprodursi anche con radiazioni mille volte superiori alle dosi fatali per gli esseri umani, perché possiedono straordinarie capacità di riparazione del DNA. Quando il gioco si fa duro, loro entrano in uno stato quiescente (criptobiosi) e possono rimanerci per anni. Insomma, sopravvivono a condizioni estreme di disidratazione, così come ai forti sbalzi di temperatura. La pressione d’urto generata dalla struttura metallica della sonda nello sfortunato allunaggio, però, sembra aver superato anche il loro limite (1,14 gigapascal). Forse dovremmo dire per fortuna, perché sarebbe stato un azzardo portare la vita terrestre fuori dalla Terra così, senza un consenso generale. Ma il dispiacere un po’ rimane: RIP.

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