Gli inventori di CRISPR cercano un accordo. Ma Berkeley sta a guardare

patent pool lampadine colorate

Berkeley contro Boston. Jennifer Doudna contro Feng Zhang. Finora la battaglia brevettuale sulla tecnica che sta rivoluzionando le scienze della vita ce l’eravamo raffigurata così. Come un duello tra il gruppo che per primo ha dimostrato la capacità del sistema CRISPR di modificare il genoma delle cellule batteriche e il gruppo che, pochi mesi dopo, l’ha adattato alle cellule degli organismi pluricellulari. Ma il panorama dei brevetti relativi a quella che è stata definita l’invenzione biotech del secolo è più complicato di così. E c’è chi teme che il potenziale rivoluzionario di questa tecnologia di modificazione genetica di precisione possa restare schiacciato sotto una montagna di rivendicazioni di diritti di proprietà intellettuale. La buona notizia è che alcuni degli inventori di CRISPR hanno deciso di far confluire i propri brevetti in un unico pool globale, in modo da non costringere i ricercatori che vogliono usare la tecnica a trattare con decine di soggetti diversi. Ma basterà questo stratagemma per salvaguardare l’interesse comune, che è quello di consentire al maggior numero possibile di gruppi di lavorare con CRISPR trasformando le sue promesse in avanzamenti concreti?

“Loro hanno un brevetto sulle palle da tennis verdi. Noi avremo un brevetto su tutte le palle da tennis”, aveva detto Doudna qualche mese fa, commentando il punto messo a segno dal suo arci-rivale, che si era appena visto confermare da un tribunale la validità del brevetto chiave per l’uso del sistema CRISPR. Ora la contesa è in fase di appello, ma se i brevetti di entrambi dovessero essere riconosciuti nella loro formulazione attuale, tenendo per buona la similitudine tennistica, un ricercatore che volesse iscriversi al torneo di CRISPR nel campo degli organismi pluricellulari (che comprende tutte le piante e gli animali, uomo incluso) dovrebbe ottenere una licenza sia da Boston che da Berkeley. Ma in una situazione in cui i brevetti coprono ormai palline di molte fogge e svariati colori, nonché innumerevoli accessori per giocarci in modi diversi, il rischio è che molti giocatori si trovino esclusi dal campionato. Secondo gli ultimi calcoli negli Stati Uniti 18 organizzazioni si sono già assicurate oltre 60 brevetti relativi a questa tecnologia. In Europa si contano oltre 20 brevetti suddivisi tra una decina di organizzazioni. E questi numeri sono destinati a crescere, visto che migliaia di domande di brevetto collegate in qualche modo a CRISPR aspettano ancora di essere analizzate.

Può essere considerato un passo in avanti nella giusta direzione, dunque, l’iniziativa di una società specializzata in strategie brevettuali (Mpeg LA), che si è rivolta ai detentori dei brevetti invitandoli a riunire i loro beni in un paniere comune, attraverso un sistema di licenze incrociate. Ma è presto per capire se questa mossa sarà risolutiva. I termini dell’accordo infatti sono ancora in via di definizione e non è dato sapere quali brevetti stiano confluendo nel pool. Per quanto riguarda i due grandi contendenti,  si sa per certo che Boston ha aderito all’iniziativa, mentre pare che Berkeley sia rimasta a guardare. Alcuni dei maggiori specialisti di brevetti su CRISPR dubitano che questa strategia risolverà la questione ma sperano di essere smentiti dai fatti. Jakob Sherkow della New York Law School ha già espresso tempo fa le sue riserve su Science insieme a Jorge Contreras e le ha confermate ora a noi per email: “Tipicamente l’alto costo di sviluppo delle tecnologie biofarmaceutiche richiede qualche forma di licenza esclusiva per i brevetti che governano l’applicazione di queste tecnologie. In genere però i pool brevettuali prevedono licenze non esclusive. Di conseguenza un approccio di questo tipo potrebbe non funzionare. I pool si sono rivelati altamente benefici per tecnologie fondamentali in altre aree. Jorge ed io quindi restiamo scettici, ma comunque speranzosi, che i pool funzioneranno per CRISPR come è successo per tecnologie come USB e Blutooth”.  Finora i ricercatori pubblici hanno avuto libero accesso al sistema CRISPR, e auspicabilmente continueranno ad averlo. Ma nel momento in cui la ricerca porterà allo sviluppo di prodotti da mettere sul mercato, allora i diritti di proprietà intellettuale diventeranno un problema serio. Massimo Facchinetti, che tiene un corso sul diritto dei brevetti biotecnologici all’Università di Padova, saluta la nascita della proposta di “patent pooling” come una novità positiva ma riconosce che l’ideale sarebbe realizzare l’alternativa proposta da Sherkow. Bisognerebbe evitare la concessione di brevetti di portata così ampia da porre problemi di certezza del diritto e di libertà di ricerca e di concorrenza. Un brevetto che coprisse lo strumento di ricerca CRISPR in quanto tale permetterebbe solo a poche compagnie di servirsene. Meglio limitarsi a riconoscere brevetti molti circoscritti sull’uso di CRISPR, ad esempio per correggere specifici geni implicati in determinate malattie. Alcuni dei brevetti concessi finora, invece, sono fin troppo ampi nelle rivendicazioni, nota un’analisi pubblicata su Nature Biotechnology di luglio. Ad esempio, sia il brevetto chiave concesso a Zhang negli Usa, che quello rivale ottenuto da Doudna in Europa, si basano su esperimenti eseguiti con un enzima capace di tagliare il DNA detto Cas9 originario di un singolo batterio, ma pretendono di coprire tutti i sistemi basati su enzimi simili, senza preoccuparsi di dimostrare che anch’essi funzionano. “Vista l’importanza e l’ampiezza di applicazioni della tecnologia, che sembra poter assurgere a standard tecnico, l’interferenza tra proprietà intellettuale e diritto antitrust sarà fonte di interventi delle autorità regolatorie del mercato”, prevede Facchinetti.

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