I calcoli di Harvard scagionano CRISPR

mathcrisprFaster, better, cheaper è un celebre slogan usato dalla Nasa, ma sembra pensato apposta per CRISPR. La tecnica di modificazione genetica più in voga nei laboratori, infatti, ha la fama di essere velocissima, a buon mercato e anche molto precisa. Questa reputazione, ampiamente meritata sul campo, era stata improvvisamente macchiata da uno studio pubblicato sul numero di giugno di Nature Methods, che ha messo in dubbio la precisione della tecnologia. Ma le notizie sulla morte di CRISPR erano fortemente esagerate, per dirla con Mark Twain. A poco più di un mese di distanza, l’archivio elettronico di pre-pubblicazione bioRxiv conta già tre analisi che smontano lo studio citato, e le critiche mosse sono così serie da aver spinto Nature Methods ad avvisare i propri lettori. In calce al lavoro è stata aggiunta una nota editoriale che suona come il preludio a una sconfessione ufficiale. 

CRISPR viene considerata rivoluzionaria perché, tra le altre cose, potrebbe trovare molte applicazioni in campo medico, in particolare nella correzione dei difetti genetici che causano gravi malattie (si contano una ventina di sperimentazioni cliniche in corso o in procinto di partire). Ma per poterla applicare sull’uomo, il tasso di errori deve essere sufficientemente basso da assicurare un rapporto conveniente tra rischi e benefici. Se davvero causasse centinaia di mutazioni inattese, come hanno sostenuto Stephen Tsang e colleghi su Nature Methods, vorrebbe dire che migliaia di ricercatori non hanno capito praticamente nulla di come funziona la tecnica che utilizzano. Il potenziale terapeutico dell’approccio risulterebbe sgonfiato e il tragitto dal bancone di laboratorio al letto dei pazienti sarebbe tutto in salita. Ma se invece la rivista Nature Methods si fosse sbagliata e le mutazioni evidenziate nel recente studio non fossero imputabili a CRISPR, allora potremmo dire che è stato fatto tanto rumore per nulla e che CRISPR resta la tecnica di modificazione genetica più promettente che abbiamo. Vanno in questo senso i commenti rilasciati a caldo da molti specialisti, le analisi pubblicate su bioRxiv dai ricercatori di due aziende biotech specializzate su CRISPR (Editas e Intellia), e ora anche il contributo firmato da un gruppo di Harvard e del Mit pubblicato online il 5 luglio. Tra i firmatari c’è Luca Pinello, che ha studiato informatica e matematica a Palermo e ora dirige un laboratorio computazionale presso Massachusetts General Hospital-Harvard Medical School. Pinello ha coordinato il team e ha ri-analizzato i dati dello studio contestato insieme ai laboratori di Martin Aryee e Keith Joung.  “Dalle nostre stime risulta chiaro che i topi utilizzati per l’esperimento non erano abbastanza simili per l’analisi proposta (in particolare l’esemplare usato come controllo) e che le mutazioni riportate non sembrano legate all’attività di  CRISPR ma a differenze pre-esistenti”, ci ha detto via email. In pratica esiste una spiegazione molto semplice e coerente alle apparenti anomalie, che scagionerebbe la tecnica. È molto probabile che le variazioni di sequenza trovate nei due topi geneticamente modificati fossero già presenti nelle due cavie prima dell’intervento di modificazione genetica. In pratica si tratterebbe di mutazioni ereditate da un progenitore comune. Se nel terzo topo, quello di controllo, non sono presenti, non è perché questo esemplare non è stato modificato geneticamente, ma perché è imparentato meno strettamente ai primi due di quanto questi non lo siano fra loro. Insomma l’esperimento non è stato ben progettato per rispondere alla domanda: quante mutazioni fuori bersaglio sono causate da CRISPR? Negli ultimi anni molteplici studi hanno dato risposte ben più rassicuranti allo stesso quesito. Inoltre, secondo i calcoli di Pinello e colleghi, la probabilità che la tecnica causi in due topi le stesse mutazioni inaspettate, della stessa identica lunghezza, sarebbe meno di una su mille miliardi. Il messaggio dei ricercatori è forte e chiaro: gli autori dello studio di Nature Methods devono riformulare il titolo e le conclusioni del lavoro originale o in alternativa eseguire esperimenti ben più convincenti a sostegno della propria tesi. Non farlo – affermano – lascerebbe un’impressione fuorviante e sarebbe un disservizio nei confronti della scienza.

 

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